chapter-roma,-anima-cosmopolita-–-james-magazine

CHAPTER ROMA, ANIMA COSMOPOLITA – James Magazine

A Roma, in un antico palazzo, c’è un rifugio che dal 2019 insegna che dall’incontro tra culture, epoche, tradizioni nascono esperienze che lasciano il segno: Chapter Roma, nato dall’idea dell’imprenditore romano Marco Cilia. Non è un caso che si trovi proprio nei pressi del luogo che dell’incontro ne è divenuto il simbolo, la piazza di Campo de’ Fiori, dove da sempre si avvicendano popoli diversi, nell’arte del commercio che continua sino ad oggi.

Un hotel dove il lusso è libertà, che si specchia nella scelta di un concept che eleva la creatività a vera protagonista perché ogni dettaglio, offre agli ospiti l’opportunità di esplorare le innumerevoli espressioni dell’arte e del design, dentro schemi cosmopoliti da loft newyorkese.

Chapter Roma è portavoce di un periodo storico, quello dell’America anni ’30, che diventa la lente attraverso la quale raccontare l’anima dell’hotel, tra opere d’arte contemporanea. Appena varcata la soglia d’ingresso, cattura subito l’attenzione, una scultura di Willy Verginer, artista italiano che mette al centro della sua produzione artistica il rapporto dell’uomo con l’ambiente, interrogandosi sul nostro tempo e sulla natura che gravita attorno a noi.

Nella sala bar, tra sedute in velluto, tavolini bassi, il bancone e i suoi sgabelli e i complementi d’arredo moderni, le opere di alcuni tra gli artisti di street art più influenti del momento: Warios, Alice Pasquini e il collettivo Cyrcle degli artisti americani David Leavitt e David Torres. Una narrativa che prosegue anche negli spazi interni delle camere – classic “Solo Pad”, la più grande “Baby Double”, la “Chapter Double”, l’eccentrico Loft o la Suite – dove il cocktail bar si erge a vero protagonista. Tutte hanno pavimenti in caldo parquet anticato, mescolato con marmi, velluti, acciaio e ottone e mobili realizzati su misura da artigiani romani accanto a quelli di rinomati designer internazionali come Bert Frank, Tom Dixon, Moroso & Diesel e Seletti.

Dall’altra parte dell’ingresso dell’hotel, nell’area che volutamente dismette i panni della hall per farsi accoglienza più intima e disinvolta, il ristorante Campocori. Lo spazio è firmato dall’interior designer sudafricano Tristan Du Plessis: 40 sedute, grandi fotografie dell’artista bosniaco Haris Nukem, lampadari boudoir, tavolini in marmo e boiserie che contrastano elegantemente con il cemento delle pareti e i mattoncini delle volte, creando una atmosfera retrò con rimandi contemporanei. Campocori è un angolo di gastronomia, il cui nome è un omaggio all’ormai scomparsa Chiesa di S. Maria in Campo Cori. Sembrerebbe un indizio per configurare questo ristorante come un luogo sacro in cui celebrare ogni ingrediente che si può ritrovare a tavola.

Lo Chef Alessandro Pietropaoli sente questo luogo come tale ed insieme alla sua brigata propone agli ospiti una cucina in una chiave di gusto esclusiva, con rimandi asiatici e ingredienti sublimati verso un piano superiore di eleganza e una libertà compositiva che catalizza ispirazione, audacia e carisma. A lato di questa impostazione di cucina c’è una carta dei vini che sottolinea le produzioni del territorio laziale.

Lo Chef, di origine abruzzese ma cresciuto ad Anzio, offre un menù in cui traspare ricerca e libertà compositiva, nonché la memoria della collaborazione professionale con grandi maestri. Tra le esperienze più importanti, quella nel 2009 con Michelino Gioia al The Cesar di Ladispoli, con Heinz Beck nel 2010, quella all’Armani Hotel di Milano dove attraversa “un momento importante di crescita personale”, quella con Antonino Cannavacciuolo a Villa Crespi ed infine con Vito Mollica al ristorante La Veranda del Four Seasons Hotel a Milano.

Importante anche il suo bagaglio di viaggi che va dalla Costa Azzurra all’Egitto, con cui Pietropaoli ha raffinato la tecnica e conosciuto ingredienti lontani. Ogni luogo in cui ha vissuto ha instillato in lui nuove visioni che ha trasportato in cucina e proprio attraverso queste esperienze, ha contaminato ed elevato i piatti della tradizione, rendendoli contemporanei e cosmopoliti.

L’obiettivo dello Chef per il nuovo menù del 2023 è quello di enfatizzare la vivacità stagionale dei vegetali, ampliando anche l’offerta alla carta. Un modo per superare attraverso la tecnica ogni sfida, manifestando brio stilistico perché come lui stesso ammette “una proposta più verde dà importanza a una materia povera ma per una ottima riuscita ci vuole molta tecnica”. Tuttavia, dietro le quinte di questa scelta si cela un lavoro che intreccia non solo perizia tecnica, studio e ricerca ma anche l’orditura di memoria personale che asseconda ricordi di infanzia, come quella del padre che aveva un negozio di frutta e verdura perché, come lui stesso afferma, “per rendere un piatto un viaggio indimenticabile bisogna sempre avere un pensiero per qualcuno”.

chapter-roma.com

Consulente legale specializzata in diritto e mercato dell’arte e giornalista pubblicista. Devota all’originalità e alla creatività, mi entusiasmano le combinazioni tra arte, fine dining e hotellerie.

Related Posts

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *