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Randello, messaggio in bottiglia, scritto da un turco vittima del terremoto

Ragusa – La storia che racconto sembra uscita da un romanzo o da un copione cinematografico, ma è un racconto reale, perché da un casuale ritrovamento di un messaggio dentro una bottiglia, si cela una storia che testimonia le tragedie del periodo che stiamo vivendo.

Dopo lo spiaggiamento a Punta Braccetto dei due “barchini” di ferro, andati alla deriva tra sabato e domenica scorsa, qualche giorno dopo, sulla spiaggia est di Randello, è stata rinvenuta una bottiglia di vetro con dentro un messaggio. A fare il ritrovamento sono stati i coniugi Christine e Francis, coniugi francesi in pensione che da quasi sette anni vengono a svernare con il loro camper in Sicilia, a Punta Braccetto, presso uno dei camping attrezzati presenti in questo luogo.

Christine e Francis si impegnano a pulire l’arenile di Punta Braccetto, lo fanno sempre, ogni volta che fanno una camminata su e giù per le spiagge, portano con sé un sacchetto a testa della spazzatura, per raccogliere tutto quello che trovano e che può essere riciclato.

Il 6 marzo, durante una delle tante passeggiate, trovano una bottiglia di vetro con un tappo a vite, come hanno sempre fatto la prendono per toglierla dall’arenile, ma subito notano che al suo interno c’è un foglietto arrotolato. Aperta la bottiglia, con grande stupore, vedono che il foglietto è scritto con una calligrafia e una lingua a loro incomprensibile.

Christine mi ha subito contattato per darmi la notizia del ritrovamento, ci conosciamo da diversi anni, ho anche dato una mano a ripulire la spiaggia ad est della Torre Vigliena, e mi manda la foto del messaggio chiedendomi se ci fosse la possibilità di tradurlo per capire il suo contenuto. L’unica cosa chiara del messaggio è la data a fine testo, 17/02/2023, si presuppone che sia il giorno quando il messaggio è stato consegnato alle onde del mare.

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Mi sono immediatamente attivato, mandando il testo ad un mio caro amico che vive a Siracusa, Ramzi, un bravo musicista e mediatore culturale che conosce molte persone di cultura diversa e in breve tempo mi manda a dire che il testo è in lingua Turca. Ramzi mi manda la traduzione, che dà una prima lettura del messaggio. Contemporaneamente ho lanciato un appello, sulla mia pagina Facebook, che ero in cerca di chi potesse tradurre il Turco. Inaspettatamente e con grande sorpresa, ho ricevuto diversi contatti di persone disponibili. Quando si dice che i social, forse, servono a qualcosa.

Per una maggiore certezza di quanto fosse riportato sul messaggio, l’ho fatto tradurre ad altre due persone, di nazionalità Turca e competenti. Il messaggio, seppure fatto di poche righe, cela e racconta un grande dramma umano e una grande voglia di riscatto. Tutti i traduttori hanno concordato che, chi ha scritto il messaggio, ha una grande carenza grammaticale e di sintassi, ma nonostante ciò si riesce a capire il senso di quello che voleva trasmettere.

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Stiamo parlando dei messaggi in bottiglia, diventati un mito che negli anni hanno oscillato sempre tra cronaca e fantasia, fornito informazioni, raccontato drammi ma anche comunicato emozioni. In poche parole, i messaggi lanciati in acqua hanno sempre raccontato la vita. Il messaggio ritrovato sulle spiagge siciliane da Christine racconta e comunica tanto dramma e tanta emozione. Ecco la traduzione del testo:

6 febbraio Antiochia terremoto

Grazie a Dio la mia famiglia è viva

Vi voglio bene, mia moglie Ranim, mia figlia Mina.

Allah abbia pietà dei morti, riposano in pace

Io solo

………. governo che mi ha lasciato un’altra scelta. 

Risulta evidente che il messaggio è stato lanciato a mare da un migrante Turco, un padre di famiglia che ringrazia Dio che i suoi cari, la moglie e la figlia siano sopravvissute al devastante terremoto del 6 febbraio che ha colpito laTurchia meridionale, centrale e la Siria e prega Allah per tutti i morti.

Antiochia (Antakya) è una città della Turchia sulle rive del fiume Oronte poco lontana dalla sua foce nella parte nord-orientale del Mare Mediterraneo e poco distante dalla frontiera con l’odierna Siria. Antiochia si trova nella zona più colpita, più devastata dal terremoto del 6 febbraio scorso, si stimano attualmente più di 50.000 morti.

Non sappiamo la fine di questo migrante Turco. Non sappiamo se è arrivato con i due barconi che si sono incagliati e arenati a Punta Braccetto, oppure su un altro natante andato alla deriva, non sappiamo, nemmeno, se ha voluto migrare perché la sua famiglia ha perso tutto dopo il tremendo terremoto e quindi è stato costretto ad intraprendere un viaggio infernale per una vita più decente.

I miei amici intrepreti Turchi non credono che sia partito per causa del terremoto, perché questi viaggi sono organizzati e preparati molti mesi prima con tariffe che vanno tra gli 8.000 e i 10.000 euro, una somma ingente, chissà per quanto tempo la famiglia ha fatto economia o chissà cosa avranno venduto per raggiungere tali cifre.

Molto probabilmente, chi ha scritto il messaggio, affidandolo alle onde del mare, si sarà trovato in un momento di sconfortato durante il lungo e pericoloso viaggio, pensando che non ce l’avrebbe fatta, pregando Dio e maledicendo il governo, perché non gli ha dato altra scelta per condurre una vita migliore per mantenere la propria famiglia. Una storia amara, come tante altre che giornalmente si potrebbero raccontare, sono centinaia i migranti stipati in barconi e gommoni fatiscenti che in questi giorni stanno solcando il mare mediterraneo.

Solo ieri, a Lampedusa, nuovo record di sbarchi, l’hotspot dell’isola è di nuovo al collasso, 21 sbarchi in poche ore: 17 durante la notte con l’approdo di 705 migranti e altri 180 su 4 barchini ieri mattina. Si aggiungono ai 470 soccorsi mercoledì a bordo di 13 barchini. Quindi 1.355 persone in pochi giorni. Ai soccorritori hanno dichiarato di essere originari di: Ciad, Siria, Sudan, Yemen, Senegal, Mali, Guinea, Burkina Faso, Camerun, Costa d’Avorio, Liberia e Gambia. Dicono di essere partiti da Sfax, in Tunisia.

Concludo questo mio racconto con una frase di Jean-Claude Izzo:

“Un immigrato è qualcuno che non ha perso niente, perché lì dove viveva non aveva niente. La sua unica motivazione è sopravvivere un po’ meglio di prima“. 

Si ringraziano per la cortese collaborazione alla traduzione, Yilmaz Melis, Aziz Kalas, Ramzi Harrabi e i coniugi Christine e Francis per aver permesso di raccontare questa storia.

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