Roma, 13 gen — Sarebbe bastata una telefonata al 118 per evitare la tragica morte di Maddalena Urbani, la 21enne deceduta il 27 marzo 2021 per assunzione di un mix letale di farmaci e stupefacenti. Una telefonata che non partì mai dai telefoni di Abdulaziz Rajab, spacciatore di origini siriane, e Kaoula El Haouzi, amica della Urbani che lasciarono la ragazza ad agonizzare 15 ore prima del suo decesso.

Maddalena Urbani, 14 anni allo spacciatore e due all’amica di lei

Queste le conclusioni dei giudici della Corte d’Assise di Roma, scritte nelle motivazioni della sentenza con cui hanno condannato a 14 anni di carcere il pusher — l’accusa è di omicidio volontario con dolo eventuale per la morte della giovane — e a 2 anni la sedicente amica, riformulando l’accusa in omissione di soccorso. Nelle carte si legge che i due imputati «preferirono non allertare i soccorsi» nonostante «l’esatta consapevolezza della gravità della situazione, dimostrata dalla necessità di intervenire più volte quella notte sulla ragazza con manovre di tipo rianimatorio». In sunto: i due, per evitare rogne con la giustizia, preferirono lasciare morire Maddalena.

Quindici ore di agonia 

Per i giudici di assise, lo spacciatore immigrato operò «per motivi inaccettabili, esclusivamente egoistici» e omise di chiedere l’intervento dei soccorsi per «scongiurare che si venisse a conoscenza del fatto che aveva ricevuto due ragazze in casa» dove lui immagazzinava sostanze stupefacenti, «contravvenendo in questo modo alla misura dei domiciliari». Questo «aderendo alla elevata possibilità che Maddalena morisse, evento che si è esattamente rappresentato e al quale ha aderito, pur non essendo il fine principale del suo agire».

Per quanto riguarda la condotta dell’amica, nelle motivazioni si sottolinea che anche su di lei «gravava l’obbligo di attivarsi e far intervenire gli operatori sanitari, considerate le allarmanti condizioni» di Maddalena Urbani ma nel corso del dibattimento ha «mentito, e ha fatto di tutto per sminuire la precisa consapevolezza della gravità della situazione e il suo evidente coinvolgimento nella vicenda».

Cristina Gauri

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