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L'agricoltura italiana scavalcata da quella francese: lo studio di “Nomisma”

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Dopo un primato che durava da oltre dieci anni, l’Italia (dal 2021) ha ceduto alla Francia lo “scettro” di prima agricoltura europea per valore aggiunto prodotto. Ovvero, la differenza fra valore della produzione e costi sostenuti.

Questa di cui sopra, è una delle principali evidenze dello studio Nuove sfide e scenari evolutivi per l’agricoltura italiana” effettuato da Ersilia Di Tullio, Senior Project Manager di “Nomisma“. Società che da più di 35 anni realizza ricerche di mercato e consulenze.

Una crescita a due cifre, ma sotto media UE

Con un valore della produzione pari a circa 72 miliardi di euro (comprese le attività connesse), malgrado un incremento rispetto al 2019 del +24%, la performance risulta ancora inferiore alla media “UE 27”.

Così come la variazione del reddito netto agricolo. Gran parte della crescita del settore è riconducibile all’escalation dei prezzi agricoli dovuti all’inflazione che ha colpito l’Italia (più di altri paesi europei) con impatti elevati su derivati dei cereali, prodotti lattiero-caseario e olio. A crescere anche i costi di produzione. Energia, lavoro conto terzi, mangimi e fertilizzanti hanno subito un’impennata già nel 2021 per poi crescere ulteriormente nel 2022.

Nonostante ciò, l’agricoltura italiana rappresenta ancora una reale risorsa a sostegno delle aree rurali. Il tutto, grazie alle attività secondarie – energia rinnovabile, agriturismo e altre attività ricreative e sociali, seconda trasformazione, manutenzione del verde, ecc. – che incidono sulla nostra produzione agricola per oltre il 10%. Contro una media UE di appena il 4%.

Anche in questo caso, però, nella nostra penisola si registrano due velocità. Il Nord e la parte centrale del Paese molto più avanti in fase di integrazione della multifunzionalità rispetto ad un Sud che rimane con un forte potenziale ancora da esprimere. Basti pensare agli agriturismi delle regioni meridionali con forte vocazione turistica non sfruttati a pieno.

Il Digital Divide dell’agricoltura italiana

L’analisi di “Nomisma” sottolinea come l’Italia sia condizionata anche da un ampio digital divide” (divario digitale) rispetto agli altri Paesi membri dell’Unione.

L’indice DESI (Digital Economy and Society Index) ci colloca al 18° posto per le difficoltà che il nostro paese registra in questo settore in termini di capitale umano e servizi pubblici digitali. Ma non solo. Anche in termini di connettività resta molto da fare per colmare il divario fra aree rurali e aree urbane intensive. Analogamente, anche sul fronte delle infrastrutture di trasporto resta una profonda disomogeneità nel territorio che rende alcune parti del Paese profondamente penalizzate (soprattutto al Centro-Sud).

«Una vera modernizzazione dell’agricoltura italiana in grado di sostenere le nuove sfide dello scenario potrà dirsi avviata solo con una maggior diffusione dell’innovazione presso le aziende agricole che ancora stenta ad affermarsi. Solo l’11% delle imprese italiane ha effettuato investimenti in innovazione nel triennio 2018-2020. Così come attraverso un ricambio generazionale cronicamente fermo in un settore dove meno del 10% delle aziende è guidato da agricoltori al di sotto dei 40 anni» sottolinea Denis Pantini, responsabile del settore Agroalimentare di Nomisma.

                                                                                                                                                                      Giulia Bergami

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