L’autopsia effettuata sul corpo di Chiara Carta, la 13enne assassinata dalla madre, ha portato alla luce delle verità a dir poco sconvolgenti e angoscianti: la ragazzina, infatti, ha lottato strenuamente per salvarsi dalla furia della donna che l’aveva messa al mondo.
L’esito dell’esame autoptico non mente. Quella di Chiara, la giovane di Silì (Oristano), è stata un’agonia. Sono più di 30 i fendenti ricevuti all’addome, alle braccia e alle mani, probabilmente tese in avanti proprio nel disperato tentativo di difendersi. Nulla, però, è servito a sottrarla alla furia della madre, la 52enne Monica Vinci, che, armata di un coltellino a serramanico, avrebbe continuato a inferire sulla figlia. L’abbondante perdita di sangue ha infine provocato uno choc emorragico che si è rivelato fatale per Chiara.
Questo quanto emerge dall’accurato esame effettuato dal medico legale Roberto De Montis dell’ospedale San Martino di Oristano. L’autopsia, svoltasi oggi, martedì 21 febbraio, è durata circa 7 ore.
Si esclude, in sostanza, l’ipotesi della morte per soffocamento. Secondo gli inquirenti, il cavetto della batteria del cellulare stretto attorno al collo della ragazzina sarebbe “solo” stato un mezzo per tenerla ferma. Sono state le coltellate inferte al ventre a provocare il decesso, dovuto alle profonde ferite riportate dagli organi vitali. Quanto alle lesioni individuate su braccia e mani, queste possono essere spiegate come il tentativo della minorenne di salvarsi la vita. Chiara ha combattuto strenuamente.
Una morte orrenda, quella avvenuta nel primo pomeriggio di quell’orribile sabato 18 febbraio. Gli ultimi istanti della 13enne, sono stati dolorosi, violenti, angoscianti.
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