Riceviamo e pubblichiamo una “Lettera alla Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Sanitarie”.
Ogni volta che un cittadino muore in ospedale io so di chi è la responsabilità.
Io accuso la dirigenza generale che essendo politica, e la politica partitica, ha in mente più il ritorno immediato d’immagine che la salute e accorpa e prevede nuovi ospedali che saranno cattedrali nel deserto.
Io accuso la dirigenza amministrativa che segue le direttive e vuole razionalizzare le spese dimenticandosi le persone e agendo solo su tabelle, report aziendali, prospettive di rientro.
Io accuso la dirigenza sanitaria che trasforma i numeri in obiettivi. Essendo il responsabile diretto di quello che succede imposta il suo operato in maniera iperdifensiva.
Io accuso i dipartimenti sanitari diventati covo per la distribuzione delle cariche e di persone immerse in competizioni non sane.
Io accuso il coordinatore infermieristico che invece di facilitare il compito degli infermieri, li vessa usando ordini di servizio in maniera parziale e sconsiderata.
Infine accuso tutti noi infermieri nel reparto e sul territorio che siamo proni a tutte le angherie che subiamo ogni giorno. Piegati agli ordini di servizio, alle esigenze di reparto, alle finanze dell’ASL di appartenenza.
Ogni volta che ci facciamo bastare il materiale, ogni volta che andiamo a lavoro senza il giusto riposo, ogni volta che non ci rifiutiamo di fare pratiche antisindacali, ogni volta che accettiamo di lavorare sotto numero e mal formati, ogni volta che obbediamo anti-scientificamente a chi riteniamo sopra di noi, ogni volta che lavoriamo fuori da quelli che sono gli standard europei stiamo dando un contributo reale ad uccidere quel cittadino.
Gli errori fatali sono quasi sempre riconducibili a una catena di errori. Pronto Soccorso senza personale adeguato, reparti senza posti letto, territorio che non funziona, turni massacranti avvallati da ordini di servizio, rapporto paziente/infermiere/medico da impallidire.
Ognuno di noi artefici della salute ha una sua responsabilità.
Così anch’io non giudico queste persone generiche citate ma il mio grido sale da dentro verso tutte loro perché ogni volta che una persona muore in ospedale io piango tre volte. Una per il dramma umano della persona scomparsa, due per le persone rimaste vicino a lei e la terza perché il più delle volte tutto questo si può evitare.
Nel suo “J’accuse” Zola termina così.
“Quanto alle persone che accuso, io non le conosco, non le ho mai viste, non provo verso di loro né rancore né odio. Esse non sono per me che delle entità, degli spiriti di malvagità sociale. E l’atto che qui compio non è che un modo rivoluzionario per accelerare l’esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell’umanità, che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità.
La mia ardente protesta non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque chiamarmi in Corte d’assise e che le indagini si svolgano alla luce del sole! Attendo. Vogliate accettare, signor Presidente, l’assicurazione del mio profondo rispetto.»
Mattia Chiuchiolo, Infermiere Pediatrico
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