Roma, 9 gen — Chi sta lavando il cervello a chi? Viene da chiederselo nell’apprendere dell’iniziativa, intrapresa da alcuni insegnanti britannici, di organizzare cicli di lezioni allo scopo di «rieducare» gli studenti indottrinati dal maschilismo dell’influencer Andrew Tate.
Tate, che da due settimane è rinchiuso in una prigione rumena con l’accusa di stupro e traffico sessuale, ha costruito il suo enorme seguito social grazie all’attitudine strafottente e alle pillole di antifemminismo feroce che lo fanno amare da un vasto pubblico maschile. Amante dell’ostentazione e del lusso e votato all’individualismo più sfrenato, è spesso definito «nauseante» dalle femministe per la sua post-ironia misogina a braccetto con un piglio pseudo-filosofico che saccheggia a piene mani dal retroterra culturale islamico. Le sue dichiarazioni finiscono puntualmente al centro di feroci polemiche, ultima delle quali (prima dell’arresto) la querelle Twitter con l’ecoattivista Greta Thunberg.
La filosofia di Andrew Tate e le scuole britanniche
Per questi motivi Tate è accusato dagli insegnanti inglesi di esercitare un «effetto tossico» sugli adolescenti maschi. L’«allarme» è scattato in una scuola nella zona sud di Londra, dove un gruppo di insegnanti ha tenuto una conversazione sul tema con una trentina di studenti 14enni, a cui venivano poste domande come: «Pensiamo che [Tate] sia innocuo?» e «Cosa succede quando riceviamo i suoi messaggi?». L’incontro si è trasformato rapidamente in un dibattito sullo stupro in cui almeno 10 studenti sostenevano che le donne sono responsabili delle loro aggressioni sessuali, opinione diffusa da Tate.
L’insegnante ha poi chiesto agli studenti di descrivere come si sarebbero sentiti se la propria sorella o la madre fossero state vittime di stupro. «A quel punto molti ragazzi hanno cambiato tono, mentre altri sono rimasti fermi sulle idee propagandate da Tate», racconta al Times una delle professoresse.
Riprogrammazione scolastica
«I ragazzi non smettono di parlare di lui», sostiene Jay Jordan, un’insegnante di Dundee in Scozia, raccontando di essere stata zittita da un alunno dopo averlo rimproverato: «Sei solo una donna». «Siamo decisamente tornati indietro ed è preoccupante», ha detto, mentre un’altra professoressa ha spiegato che alcuni studenti si rifiutano di studiare per gli esami finali motivando la loro scelta con «posso diventare ricco su Internet, è quello che ha fatto Andrew Tate». Da qui l’idea di molti istituti di organizzare cicli di incontri, dal sapore decisamente rieducativo, sulla questione.
Una china scivolosa
Come spesso avviene, la reazione delle istituzioni, oltre che sproporzionata e discutibile, rischia anche di prendere una china decisamente scivolosa. Perché è difficile negare che questi incontri suonino come — nemmeno tanto velati — tentativi di «rieducazione» degli ascoltatori del Tate podcaster, oltre che un’abdicazione alla funzione stessa dell’insegnamento. Quell’insegnamento che dovrebbe fornire gli strumenti per una valutazione critica di personaggi simili e dei messaggi che essi veicolano, senza scendere nel dettaglio o nella criminalizzazione intellettuale di un singolo individuo, per quanto «problematico» possa apparire. D’altronde, altro rischio della scelta degli istituti scolastici e degli insegnanti inglesi è quello di rendere Tate ancor più «personaggio», facendone quasi una «vittima» del sistema, cosa che lui stesso aveva adombrato durante la recente querelle con Greta e a causa delle sue sventure legali in Romania.
Cristina Gauri
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