«Mi sono già scritto un film da vecchio e penso spesso a cosa vorrò fare e ogni tanto mi passa per la testa: ma tornerò in Sicilia? Tornerò lì, finirò lì, concluderò lì? C’è qualcosa che mi attrae all’idea di dover tornare in Sicilia». Lo rivela Beppe Fiorello a Tv2000 ospite del programma «L’Ora solare», condotto da Paola Saluzzi, in onda giovedì 26 gennaio ore 12.20.
Allegro e rilassato in una puntata speciale di un’ora, l’attore offre un racconto di sé inedito e intimo, pieno di ricordi, aneddoti, curiosità. A cominciare dal suo film Stranizza d’amuri, in uscita nei prossimi mesi: «Io prendo in prestito il titolo della canzone di Franco Battiato per farne il titolo di un film. Il film è finito, è stato già completato, bello impacchettato; adesso stanno preparando i primi manifesti, perché è un film cinematografico e ci tengo a dire cinematografico».
L’incontro con Battiato
«Franco Battiato è il mio mito. Ho avuto, una mattina presto alle 6, l’onore di incontrarlo per un purissimo caso. Io mi trovavo in Sicilia a Donnalucata ospite a casa di amici. Quella mattina mi sveglio molto presto stranamente; io non sono un mattiniero, ma alle 5 ero già sveglio. Questi nostri amici hanno una casetta proprio a pochi metri dalla bellissima spiaggia di Donnalucata, scendo, faccio piano, non sveglio nessuno e mi vado a fare una bella camminata su questa spiaggia. Molto lontano un puntino piccolino veniva in senso opposto: un’altra persona che passeggiava probabilmente come me e man mano ci avvicinavamo con questo puntino molto piccolo. A un certo punto scopro a pochi metri da me il mito della mia vita, la colonna sonora della mia adolescenza. Era proprio lui e mi dico: adesso come faccio a fermarlo? Lo chiamo maestro? No, avevo letto in qualche intervista che non amava essere chiamato maestro. Lo chiamo Franco? No, magari troppa confidenza. Dico: scusi? Lui si gira, mi riconosce – io non lo davo per scontato – e mi dice: «Beppe, ma che ci fai qua?». Franco Battiato mi porta a casa, abitava a pochi metri da dove ci siamo incontrati così per caso. Eravamo io e lui da soli, mi dice: «andiamoci a prendere un caffè».
Vialli, il talento e la pratica
«Gianluca Vialli diceva che lui credeva più – e sono d’accordo con lui – nella pratica, piuttosto che nel talento. Il talento ha bisogno di essere praticato e si costruisce con la pratica. Bisogna fare e nel fare bisogna accettare gli errori e nel fare gli errori bisogna entusiasmarsi».
Il film su Paolo Borsellino
«Paolo Borsellino? Credo di aver fatto un buon lavoro e credo di averlo fatto bene perché ero al fianco di un grande collega. Anzi, mi onoro di dire di essere collega di Massimo Popolizio. Dobbiamo tutto alla regista Fiorella Infascelli. Perché i registi per gli attori sono veramente la luce, il faro, la guida. Siamo stati guidati da una regista di grande esperienza e di una sensibilità straordinaria, che conosceva Falcone, Borsellino, le loro famiglie, le loro storie, come nessuno».
Grazie a Niccolò Ammaniti
«A chi devo dire “grazie”? Forse alla persona che involontariamente mi ha portato a Roma e mi fece incontrare Marco Risi: Niccolò Ammaniti. Ma io in generale ringrazio tutti i registi che ho incontrato nella mia carriera, da Carlo Verdone a Emanuele Crialese».
La timidezza e la morte del padre
«Io sono timido, ho aspetti del mio carattere anche stranamente estroversi, soprattutto quando vesto i panni di un personaggio per raccontare una storia. Io ero un po’ bloccato da ragazzino, nel senso che non riuscivo ad avere le relazioni col mondo, con le persone. Ero molto timido, quasi patologico. Non riuscivo a relazionarmi con le persone, arrossivo se qualcuno mi guardava o qualcuno semplicemente mi salutava. Avevo paura delle relazioni, poi qualcosa è successo. Probabilmente mi sono paradossalmente sbloccato dopo la morte di mio padre: quella scomparsa così improvvisa di mio padre ha fatto sì che io mi trovassi nel mondo a vent’anni a dover risolvere delle cose da solo, a dover parlare con me stesso e diventare uomo, senza più un riferimento importante come può essere un padre in quell’età così delicata».
Carciofo ammuddicato e castagnaccio
«Il mio piatto forte sono i carciofi. Il carciofo ripieno (che è una ricetta siciliana di mia mamma), di mollica di pane, con il pangrattato ben condito con prezzemolo, aglio, pepe, sale e un buon formaggio che può essere un pecorino, se siamo a Roma, o un caciocavallo, se siamo in Sicilia. Carciofo ammuddicato si chiama. Nel senso di pieno di mollica condita. Per altro piatto unico: abbiamo il carboidrato, la verdura. Io sono fissato di quella roba lì eh». «Ho fatto un castagnaccio da paura. Lo so, non piace. Mio figlio mi dice: “Papà ma è una ricetta un po’ da vecchi er castagnaccio”. Parla un po’ romano perché è nato a Roma».
Film a chiamata
«Non mi hanno mai chiamato per fare un film, io sono andato a fare il film. A volte sono stato chiamato, ma molto spesso, al 90% la mia carriera è partita dal cuore non dall’orecchio; non da una telefonata ricevuta ma da una mia esigenza o da un libro scoperto, da un fatto di cronaca o da una persona che ho conosciuto».
Terra dei fuochi e il polizitto Roberto Mancini
Mancini è il primo poliziotto che con la sua squadra ha indagato sullo sversamento illegale di rifiuti speciali e tossici nei territori della Campania. «Lui è stato veramente, suo malgrado, l’uomo che ha scoperto la Terra dei Fuochi per una serie di coincidenze, un po’ per caso: indagava su altre cose e scopre che nel basso Lazio e poi in tutta quella parte di Terra dei fuochi che purtroppo conosciamo ormai tutti, c’era questo sistema, questo giro di affari».
Il film su Giuseppe Moscati. «È stato un film speciale. Erano successe delle cose un po’ particolari nella mia vita e in quel periodo dentro di me sentivo che avrei dovuto dare qualcosa ai medici, al mondo della medicina per restituire qualcosa al mondo che mi aveva dato tanto».
Scuola e teatro
«Mi mancava ancora all’appello un rappresentante, da un punto di vista del narratore di storie, del mondo scolastico e ci siamo quasi. Ho scoperto una storia molto bella, affascinante, però vorrei tornare a teatro e raccontare da un punto di vista di un preside di un liceo a che punto è in questo momento la scuola».
La famiglia al primo posto
«Io ho rinunciato a molte cose professionali per stare coi miei figli nell’età in cui era molto importante esserci; sapevo, sentivo che mi sarei perduto delle cose e dei momenti irripetibili e ho rinunciato anche a qualche film. Però oggi dei miei ragazzi conosco ogni istante del loro percorso, ogni istante ci sono sempre stato».
Il Covid e la moglie
«Tutti siamo stati colpiti dalla pandemia, chi in un modo, chi in un altro, chi meno, chi più, anch’io sono tra quelli colpiti. Avevo troppe sicurezze, mi fidavo troppo di troppe cose, di persone, di me stesso, e questa pandemia mi ha un po’ cambiato l’asse, mi ha un pochino fatto perdere l’equilibrio. Io rimango sempre centrato, però per un attimo mi sono sentito così e mi sono riequilibrato proprio con Stranizza d’amuri e grazie a una persona senza la quale io non saprei né dove andare né da dove arrivo né dove sto. Non voglio adesso fare il sentimentale e mettere in questo salotto gli aspetti molto intimi della vita, però non posso esimermi dal ringraziare Eleonora, che è mia moglie, perché senza di lei io veramente quell’equilibrio l’avrei perso totalmente».
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