USURA di Lidia Sella – I primi riferimenti documentari sull’usura risalgono all’Antico Testamento, che vieta agli ebrei di pretendere interessi sui prestiti concessi ai propri correligionari (Esodo 22, 24 e Deuteronomio 23, 20-21). In Deuteronomio 15-6 è presente una specifica ulteriore: “Tu farai prestiti a molte nazioni e non prenderai nulla in prestito; dominerai così molte nazioni, mentre esse non ti domineranno.”
Qualche millennio più tardi, Mayer Amschel Rothschild (1744-1812), capostipite di una delle più potenti dinastie di banchieri, dichiarò: “La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo le conferenze di pace. Le guerre vanno condotte in modo che le nazioni sprofondino sempre più nei loro debiti, e risultino così sempre più soggette al nostro potere.” Un’attitudine descritta dal filosofo Hegel in poche icastiche parole: “Gli ebrei vincono senza aver combattuto.” Mayer Amschel Rothschild affermò anche: “Permettetemi di emettere e gestire la moneta di una nazione, e potrò infischiarmene di chi fa le leggi.”
Forse non è dunque un caso se, con il trattato di Mastricth del 1992, siamo stati spogliati della sovranità monetaria.
Illuminante, a tal proposito, il parere del magistrato Bruno Tarquini, inserito nel suo saggio La banca la moneta e l’usura: “In occasione della ratifica del Trattato di Maastricht, lo Stato ha abdicato alla propria sovranità monetaria, consegnando a un ente privato il potere dal quale dipende la politica generale dello Stato. Senza il potere monetario, la sovranità popolare è un mero concetto, vuoto di contenuto. La rinuncia alla sovranità monetaria e al potere di emettere moneta hanno costretto lo Stato a chiedere in prestito alla Banca Centrale le risorse finanziarie utili al conseguimento dei fini istituzionali. E lo hanno quindi indotto a contrarre debiti. Il denaro ricevuto in prestito va tuttavia restituito, con gli interessi. Ma come fa lo Stato ad adempiere a tale obbligazione? Oltre alla vendita dei beni patrimoniali, alla dismissione del demanio, all’emissione di titoli di credito fruttiferi, lo strumento più efficace e sicuro consiste nell’imposizione fiscale a carico dei cittadini: grazie alle imposte, dirette e indirette, lo Stato riesce a introitare tutto, o quasi, il denaro da restituire all’Istituto di Emissione. Ciò significa che il pagamento del debito viene sopportato perlopiù dai cittadini, cioè dal popolo.”
Analoga opinione fu formulata dall’economista inglese Tim Congdom: “Il potere di emettere la propria moneta, attraverso la banca centrale nazionale, è ciò che principalmente definisce l’indipendenza di uno Stato. Se un Paese rinuncia a questo potere, o lo perde, nel migliore dei casi potrà ambire allo status di ente locale. O di colonia.”
Nel medesimo solco di pensiero si colloca il giurista Giacinto Auriti: “Lo stato di diritto, nel proprio ordinamento costituzionale, riconosce tre poteri: legislativo, giurisdizionale ed esecutivo. Mentre il quarto potere, quello della sovranità monetaria, se lo sono fagocitato, nel silenzio, le banche centrali, ovvero SPA con scopo di lucro.” Auriti ha puntualizzato che “pagare un debito di moneta, con altra moneta emessa a debito, è impossibile, a lungo andare si pagherà con i propri beni o con il proprio lavoro non retribuito, quindi con la schiavitù.”
In Usurucrazia svelata, Cosimo Massaro chiarisce che “Il vero scopo delle tasse è l’espropriazione dei nostri beni. Ne abbiamo la prova quando paghiamo un affitto annuale (IMU-TASI), per risiedere nella nostra abitazione. Se infatti siamo costretti a pagare, per vivere in un locale di nostra proprietà, significa che il bene non è già più nostro.”
Ne La Dittatura europea, l’antropologa Ida Magli ha magistralmente sintetizzato la questione: “Due sono i pilastri che reggono la costruzione del Nuovo Ordine in vista del governo mondiale: il primo è l’accentramento del potere nelle mani dei banchieri, con la produzione del denaro e la creazione del debito pubblico; il secondo è la rete di associazioni create dagli uomini più ricchi e potenti per preparare e realizzare, con l’omogeinizzazione di tutti i popoli, un sistema di governo unico, con una moneta unica, una lingua unica, una religione unica.”
Per certi versi il declino dell’Occidente è insomma il risultato di una strategia millenaria, imperniata sull’usura, ossia sul “prezzo per l’uso della moneta.” Uno strumento che ha alimentato la marcia a tappe forzate verso il mondialismo, scandita da una serie di passaggi-chiave: la fondazione della Banca d’Inghilterra nel 1694; la nascita a Londra della massoneria moderna, nel 1717 ; il Federal Reserve Act del 1913, prodromico all’istituzione della Federal Reserve Bank; gli Accordi di Bretton Woods del luglio 1944; la fine della convertitibilità in oro del dollaro, annunciata da Nixon il 5 agosto 1971, et cetera.
Lungo questa via crucis, i nostri aguzzini hanno allestito la “stazione”, del Fiscal Compact, l’Accordo Fiscale su stabilità, coordinamento e governance nell’Unione economica e monetaria, firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012. Che costringe economie e bilanci nazionali a misure draconiane e a vincoli durissimi, preludio di inevitabili spirali deflazionistiche. E produce ulteriori dolorose cessioni di prerogative giurisdizionali nazionali. L’Italia è tenuta a tagliare, per vent’anni, 45 miliardi di debito pubblico all’anno. E a introdurre il pareggio di bilancio in Costituzione. Cosi i signori dell’usura hanno messo le mani anche sull’ultimo brandello di sovranità popolare italiana.
Le perfide élite finanziarie cosmopolite sono sempre all’opera nell’approntare dispositivi atti a vessarci e asservirci. Come riconfermato dal Pnrr (Piano Nazionale di ripresa e resilienza, approvato nel luglio 2021), che impone ai sudditi italiani massicce dosi di transizione ecologica, digitalizzazione, inclusione, a fronte di 68,9 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto e di 122,6 miliardi in prestiti che, presumibilmente, sarà quasi impossibile restituire prima del 2050. Dobbiamo dunque desumere che se il Pnrr fa parte del programma Next generation Eu sia perché ai nostri giovani è riservato un destino da schiavi? In definitiva i padroni del mondo non solo ci tengono al guinzaglio di un’economia fasulla, che gestiscono a loro arbitrio e a nostro danno, ma si arrogano addirittura il diritto di stabilire in quale direzione debba svilupparsi il nostro futuro. Corrompono governi, magistratura, media e, con il ricorso a intrighi di palazzo, signoraggio bancario, rincari insostenibili, pressione fiscale alle stelle, privatizzazioni selvagge, flussi migratori fuori controllo, dittature sanitarie, guerre scellerate, coppie lgbt+ e farina di grilli, ci tengono in ostaggio e ci piegano all’obbedienza. Se tuttavia è tanto arduo per noi fuggire dalla prigione dove ci tengono reclusi è proprio perché l’hanno edificata con le sbarre dell’usura.
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E per meglio inquadrare il fenomeno dell’usura, proviamo ora a tratteggiarne per sommi capi le alterne vicende storiche.
Giovanni Marginesu, nel suo recente libro I greci e l’arte di fare i conti, edito da Einaudi, spiega che nell’antica Grecia un prestito ben gestito produceva nuove entrate, sotto forma di interessi, chiamati tokoi. Già Aristotele considerava però l’usura una pratica contro natura.
Nel diritto romano antico, il danneggiato poteva intraprendere un’azione penale contro l’usuraio e ottenere da lui il quadruplo degli interessi ingiustamente percepiti. Alla fine del periodo repubblicano, il livello massimo degli interessi era del 12%, ovvero l’1% al mese. E rimase invariato sino alla prima metà del VI secolo d.C., quando l’Imperatore Giustiniano provvederà ad abbassarlo.
“Se ti aspetti di riavere più di quello che hai prestato, sei un usuraio e sei da condannare.” È il giudizio di Sant’Agostino, (Enarrationes in psalmos, 36, Serm. 3.6.).
“Tutto ciò che si basa su speculazione e azzardo è una forma di usura.” Sant’Ambrogio diede voce a questa sua convinzione nel De Tobia (XIV).
I padri della Chiesa hanno dedicato intere opere a stigmatizzare la pratica del prestito a interesse: San Gregorio di Nissa, Contro gli usurai; San Giovanni Crisostomo, Contro gli usurai; San Giovanni Damasceno, Sul prestito a interesse; Nicola Cabasila, teologo e mistico bizantino, Discorso contro gli usurai.
L’usura, ritenuta peccato mortale, fu condannata in innumerevoli Concili:
ad esempio, nel Concilio di Elvira (306), canone 20: con la scomunica ai laici che prestano a interesse;
nel Concilio di Arles (314), canone 22: con la scomunica ai chierici che prestano a interesse;
nel Concilio di Cartagine (345), canone 5: “Sia vietato a tutti i chierici di prendere interesse da qualsiasi bene. “ “ cosa biasimevole anche per i laici.”
Concilio di Ippona (393), canone 22: “Nessuno riceva più di quanto ha prestato, che si tratti di denaro o di qualsiasi altro bene.”
Nella bolla Post miserabile del 1198, Papa Innocenzo III include, fra i privilegi accordati ai crociati, la sospensione dei debiti contratti con gli ebrei, ivi compreso il conto dell’interesse.
Nel Corano gli ebrei sono accusati di “illecita venalità”, (V. 42), “di seminare corruzione sulla Terra.” (V. 64), di essere contaminati dall’usura come “chi è reso epilettico dal contatto con Satana. “(II, 275).
Nella Divina Commedia, Dante accenna all’usura nell’XI Canto dell’Inferno (vv. 94 e seguenti) e nel canto XVII dell’Inferno accusa gli usurai di violenza contro l’arte e contro Dio. Nel Paradiso (vv. 80-81), il sommo poeta lancia il memorabile monito: “…uomini siate e non pecore matte / sì che il Giudeo di voi tra voi non rida.”
Per secoli, in Europa, si sono susseguite le espulsioni degli ebrei, promosse e condotte dalle autorità civili e religiose, allo scopo di sradicare la piaga dell’usura e contrastare l’eccessiva concentrazione di capitali.
Nell’arco temporale che va dal Basso Medioevo alla fine del Rinascimento, i giudei furono banditi da vari paesi: dall’Inghilterra, in due fasi, nel 1120 e nel 1290; da Bologna nel 1171, “per lo gran danno che facevano con le loro eccessive usure”. L’Imperatore Federico I il “Barbarossa” li esilia dai suoi domini nel 1182. Nel 1348 molte città svizzere, fra cui Berna, Sciaffusa, Zurigo e San Gallo, li costringono ad andarsene. L’Ungheria se ne libera nel 1349. In Francia, il decreto del 1306, che intima loro di sgomberare, è firmato da Filippo IV il Bello ma, poco a poco rientrati, gli ebrei vengono reiteratamente estromessi nel 1311, nel 1322 e da Carlo VI nel 1394. Sono costretti a emigrare da Vienna nel 1421, nel 1492 dalla Sardegna, dalla Sicilia e dalla Spagna, per ordine dei re cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Devono lasciare la Lituania nel 1495, Vicenza nel 1496, il Portogallo nel 1497. Nel 1525 e nel 1541 Carlo V li scaccia dal regno di Napoli. Dal 1541 la Boemia fu teatro di gravi progrom. Nel 1571 vengono allontanati da Venezia e, nel 1589, dal Ducato di Milano.
Nel 1543 Martin Lutero pubblica il libello Degli Ebrei e delle loro menzogne dove, a più riprese, si scaglia contro l’usura. Ecco lo stralcio di una sua invettiva: “In realtà sono gli Ebrei a tenere prigionieri noi cristiani nella nostra Terra (…) vivono comodamente di ciò che noi abbiamo guadagnato con il lavoro. Tengono prigionieri noi e i nostri beni con la loro maledetta usura (…). Sono dunque i nostri padroni e noi i loro servi.”
In un documento custodito nell’archivio dei canonici del Duomo di Siena, si legge: “Io sottoscritto, dichiaro di aver debito con il Signor Abramo Levi di lire 25, per le quali ritiene in pegno una giubba di mio padre, sei camicie, quattro lenzuola e due tovaglie. Addì 2 marzo 1570. Firmato: Torquato Tasso.
Napoleone proclamò: “Quando per il denaro un governo non dipende dai capi dell’esecutivo ma dai banchieri, sono costoro a controllare la situazione, perché la mano che dà è al di sopra della mano che riceve…
Il denaro non ha madrepatria e i finanzieri non hanno patriottismo né decenza: il loro unico obiettivo è il profitto.”
Gli fa eco Thomas Jefferson, in una lettera del 1816 indirizzata a John Madison: “Se il popolo americano permetterà alle banche private di gestire l’emissione della sua moneta, allora, alternando inflazione e deflazione, le banche e le società finanziarie che cresceranno intorno a esse spoglieranno il popolo di ogni proprietà, finché i suoi figli si sveglieranno senza un tetto nel continente che i loro padri conquistarono. (…) Credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti. (…) Il potere di emissione deve essere tolto alle banche e restituito al popolo, cui appartiene.”
L’usura era considerato un delitto dal Codice Penale per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla del 1821,
dalla Legge Napoletana del 7 aprile 1828 sugli interessi convenzionali in materia civile e commerciale,
dal Regolamento Pontificio del 1832,
Codice Penale del Regno di Sardegna del 1839,
dal Codice Penale del Granducato di Toscana del 1853,
Codice Estense del 1855.
Il reato di usura era contemplato nel Codice Penale del 1859.
Ma nel Codice Penale Italiano del 1889, ispirato a principi economici liberisti, non era più presente. D’altronde se la massoneria ha finanziato l’Unità d’Italia doveva pur avere i suoi motivi. Lo storico della massoneria Silvano Danesi, in un’intervista rilasciata al giornalista Ferruccio Pinotti, confluita nel suo incandescente documentatissimo dossier dal titolo Potere massonico. La“Fratellanza” che comanda l’Italia: politica, finanza, industria, mass media, magistratura, crimine organizzato, ci ricorda che “a favorire e proteggere lo sbarco dei Mille c’erano, al largo, le navi della Marina inglese; e si sa che il gran maestro della massoneria inglese è il re.” “Se oggi c’è l’Italia unita – insiste Danesi – lo si deve in gran parte alla massoneria. Del resto, ha proseguito: “l’incipit dell’inno nazionale è “Fratelli d’Italia”: vorrà pur dire qualcosa.” Un sospetto che, secondo me, sarebbe legittimo estendere anche al nome scelto da Giorgia Meloni per il suo partito.
Per quanto attiene alle interconnessioni fra grandi banche, massoneria e creazione del Regno d’Italia, va sottolineato che fra i protagonisti delle speculazioni finanziare legate ai “Mille” figurano i banchieri israeliti Adami e Lemmi. L’Adami fornì le vettovaglie per la spedizione e, con denaro massonico, pagò sottobanco i vapori “trafugati” Piemonte e Lombardo. Garibaldi lo ricompensò con una concessione per la costruzione delle ferrovie nel Mezzogiorno, ove lo Stato si impegnava ad accollarsi ogni perdita di gestione. Al Lemmi, insignito con la carica di Gran Maestro, toccò il monopolio dei tabacchi.
Chiusa parentesi, torniamo alla nostra carrellata di sconcertanti lampi sull’usura.
Nel Libro ascetico della giovane Italia, (1926), Gabriele D’Annunzio suggerisce: “Separiamoci dall’Occidente degenere che, dimentico d’aver contenuto nel suo nome “lo splendore dello spirito senza tramonto”, è diventato un’immensa banca giudea in servizio della spietata plutocrazia transatlantica.”
Sotto il fascismo, il Codice Penale del 1930 reintroduce il delitto di usura.
Papa Pio XI, nell’Enciclica Quadragesimo anno del 1931, sentenziò: “Ai nostri tempi non vi è solo la concentrazione della ricchezza, ma anche l’accumularsi di una potenza enorme, un’egemonia dell’economia nelle mani di pochi. Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il denaro, la fanno da padroni: onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso di cui vive l’organismo economico e hanno in pugno, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe respirare.”
Ezra Pound ha pagato cara la sua battaglia contro l’usura. Aveva 60 anni quando, dopo settimane di interrogatori, nel maggio 1945 gli americani lo rinchiusero per tre settimane in una gabbia di ferro, esposta al sole e ad accecanti riflettori durante la notte, nel Centro di formazione disciplinare vicino a Pisa. L’inumano trattamento gli procurò un collasso. In seguito, sottoposto a una perizia psichiatrica che lo definì “infermo di mente”, fu internato per 12 anni nel manicomio criminale di St. Elizabeths.
Il suo prezioso avvertimento è custodito nello scrigno della poesia eterna (Cantos 45).
“Con usura nessuno ha una solida casa
di pietra squadrata e liscia
per istoriarne la facciata,
con usura non v’è chiesa con affreschi di paradiso
con usura non si dipinge per tenersi arte
in casa, ma per vendere e vendere
presto e con profitto, peccato contro natura,
(…) usura appesantisce il tratto,
falsa i confini, con usura
nessuno trova residenza amena.
Si priva lo scalpellino della pietra,
il tessitore del telaio
CON USURA
la lana non giunge al mercato
e le pecore non rendono
peggio della peste è l’usura, (…)
Duccio non si fe’ con usura
né Piero della Francesca o Zuan Bellini.
(…)
L’Angelico non si fe’ con usura (…)
l’azzurro s’incancrena con usura (…)
Usura soffoca il figlio nel ventre
arresta il giovane drudo,
cede il letto a vecchi decrepiti,
si frappone tra giovani sposi
CONTRO NATURA
Ad Eleusi han portato puttane
Carogne crapulano
ospiti d’usura.
Questi versi immortali di Pound prefigurano purtroppo la situazione attuale.
Oggi i partiti si dipingono come paladini del popolo. Eppure non si azzardano certo a smascherare la truffa dell’usura. Nemmeno un politico che rivendichi il sacrosanto diritto dello Stato a battere la propria moneta. Neanche un giudice disposto a denunciare l’illegittimità dei Trattati europei, incompatibili con la nostra Costituzione. Nessun giornalista di regime pronto a informare il pubblico sulla circostanza che tutte le banche centrali sono società per azioni in mano a privati, speculatori senza scrupoli che appartengono a poche esclusive famiglie di banchieri, i quali gestiscono e manipolano a proprio vantaggio i cicli del mercato, della borsa e della politica, gonfiando inflazione, debito pubblico e tassi d’interesse. Personaggi che si muovono in ambito sovranazionale, godono di totale immunità, indicono riunioni a porte chiuse e deliberano nella massima segretezza, senza dover giustificare il proprio operato ad alcun organo di controllo istituzionale esterno. La Fed, ad esempio, non stila un bilancio né è sottoposta a revisione contabile. Riguardo poi alle decisioni assunte dalla Banca Centrale Europea, i singoli governi non hanno alcuna voce in capitolo (per i dettagli si consulti il SEBC, Protocollo sullo Statuto del sistema Europeo di banche centrali e della Banca centrale Europea).
Marco Pizzuti, in Rivelazioni non autorizzate – Il sentiero occulto del potere, ricostruisce due scenari che aiutano a comprendere il motivo per cui qualunque azione concreta in difesa della sovranità monetaria sia destinata a naufragare.
Abraham Lincoln, per finanziare la Guerra di secessione americana, anziché indebitare il suo Paese con i banchieri internazionali che pretendevano tassi d’interesse tra il 24 e il 36%, nel 1865 firmò un provvedimento che consentì di mettere in circolazione quattrocento milioni di dollari non gravati da debito né da interessi, i c.d. green bucks. Il 14 aprile 1865 fu freddato con un colpo di rivoltella alla nuca, mentre dal palco presidenziale assisteva a uno spettacolo presso il Ford Theatre di Washington. E la legge da lui emanata venne revocata di lì a poco.
Dopo quasi un secolo, il 4 giugno 1963, J.F.Kennedy firmò l’ordine esecutivo num.11110, per impedire alla Federal Reserve Bank di continuare a prestare al Governo degli Stati Uniti soldi gravati da interesse. Quando il 22 novembre dello stesso anno fu assassinato a Dallas, la circolazione dei quattro miliardi di dollari, che il Dipartimento del Tesoro aveva nel frattempo provveduto a stampare, fu bruscamente interrotta.
La nostra memoria corre infine al 1966. A quel tempo Aldo Moro, incline a una politica di stampo sovranista, era Presidente del Consiglio dei Ministri. E intendeva finanziare spese statali per 500 miliardi di lire. La Banca d’Italia non si rese disponibile a soddisfare la sua richiesta. Decise allora di emettere biglietti di Stato a corso legale, cartamoneta da 500 lire. Un’operazione che si realizzò in virtù di tre diversi DPR (decreti del Presidente della Repubblica), firmati rispettivamente il 20 giugno 1966 e il 20 ottobre 1967 da Giuseppe Saragat e il 14 febbraio 1974 da Giovanni Leone. Moro dimostrò così che si poteva creare denaro senza indebitare il Paese. Il 9 maggio1978 fu barbaramente assassinato. Il 15 giugno 1978 il Presidente Giovanni Leone diede le dimissioni anticipate. La cartamoneta da 500 lire venne subito tolta dalla circolazione. L’ipotesi di emettere moneta non a debito cadde nel dimenticatoio.
Solo una catena di strane coincidenze? Oppure tre lezioni esemplari, pervase di una formidabile carica deterrente, che potrebbero perciò aver contribuito a dissuadere gli amministratori della cosa pubblica dal coltivare qualsivoglia velleità patriottica in materia di moneta? I maggiordomi della cupola atlantista prediligono in effetti tuffarsi a capo fitto in questioni irrilevanti. Si occupano di animare il patetico teatrino di quel pluralismo fasullo che in noi suscita ormai soltanto orrore e disgusto. Poiché a governarci in realtà è una banda di Giuda. Untuosi traditori al servizio del nemico, eseguono ordini criminali, finalizzati a svendere l’Italia. Oltre che a umiliare in tutti i modi gli Italiani, con un fisco rapace, una burocrazia tirannica, la sanità pubblica al collasso, la previdenza sociale e le tutele ai lavoratori sbriciolate, un’immigrazione fuori controllo, la dragonesca distruzione creativa delle aziende zombie, una propaganda fanatica su gender e ius soli, la desertificazione dell’istruzione, i ponti autostradali che crollano, e via dicendo. Costoro meritano quindi il massimo del disprezzo. A chiedercelo sono i nostri avi, che hanno conquistato con il sangue questa terra splendida, affinché vi fiorissero genio e bellezza. Mai avrebbero tollerato che, con lo sterco del demonio, venissero comprate le anime dei loro discendenti.
E bando alle ingenuità: siamo inquilini del Terzo millennio, e se davvero la Storia è maestra di vita, come possiamo illuderci che una volontà politica autenticamente orientata al bene della collettività possa scaturire da una società fondata sulla logica del profitto, e stritolata fra le spire dell’usura?
Organizziamoci dunque per salvare la nostra civiltà: moneta parallela, sanità alternativa. E una scuola per restare umani. Ma evitiamo, per favore, di insozzarci con la feccia dei partiti.