(dall’inviata Ileana Sciarra) – La giornata è lunghissima e parte in forte ritardo sul timing, sulla tabella di marcia alla quale ha lavorato in stretto riserbo Palazzo Chigi, ma Giorgia Meloni onora tutti gli appuntamenti in programma, per portare “gli occhi degli italiani” lì dove da un anno ormai imperversa la guerra. Più volte il presidente del Consiglio si commuove nelle tappe di questo viaggio, iniziato alla stazione di Kiev e terminato in tarda serata, di nuovo sul treno che la riporterà in Polonia.
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A Bucha arriva sotto la pioggia battente, i piedi nel fango. Le autorità locali la scortano raccontando un massacro destinato a restare nella storia, le violenze, gli stupri, le fosse comuni: alle vittime rende omaggio deponendo dei fiori rossi, tra i peluche dei bambini, i giochi e le foto ricordo, la medaglia forgiata con i proiettili russi ricevuta in dono e stretta in una mano, gli occhi bagnati dalle lacrime. A Irpin poco dopo camminerà tra le macerie, e sulla bandiera ucraina scriverà con un pennarello ‘At your side!’.
Al vostro fianco, del resto, è il leitmotiv del suo viaggio nel paese in guerra. E’ quello che ripeterà alle autorità locali, al Presidente Volodymyr Zelensky, ai volontari italiani che le raccontano il loro operato in una terra in conflitto da un anno ormai ma che non intende cedere, Davide contro Golia. La condanna dell’aggressione russa è netta, come lo è dal primo giorno, quando ancora Meloni sedeva sui banchi dell’opposizione.
Prima di incontrare il capo della resistenza ucraina, le chiedono un commento sulle parole, durissime, di Vladimir Putin. “Una parte del mio cuore sperava che dicesse parole diverse, aspettando un passo avanti. Quello che abbiamo sentito stamani e’ la propaganda già sentita. I fatti sono diversi”. Più tardi, quando in conferenza stampa con Zelensky spunta la domanda sulla presunta ingratitudine di cui il capo del Cremlino ha tacciato l’Italia, Meloni risponde: “Non so se quello di Putin era un avvertimento, ma il tempo del Covid era un altro mondo. Il mondo è cambiato dopo il 24 febbraio e non è una scelta che abbiamo fatto noi”.
Dopo una giornata in cui ha visto in faccia il volto di città deturpate dalla guerra, il premier guarda avanti e con Zelensky parla “soprattutto di ricostruzione”, lanciando una conferenza ad hoc ad aprile e affidandone la regia all’Italia. Con lo sguardo rivolto non solo al futuro, alla fine del conflitto, “ma anche al presente, perché occorre ricostruire ogni giorno, lì dove oggi ci sono macerie”.
A Zelensky “ho ribadito il pieno sostegno dell’Italia di fronte all’aggressione russa: l’Italia non intende tentennare e non lo farà – scandisce Meloni al fianco del presidente ucraino- E’ passato quasi un anno dal giorno che ha riportato le lancette della storia indietro di qualche decennio, l’invasione sarebbe dovuta durare qualche giorno ma non è andata così perché è stata sottovalutata l’eroica reazione di una nazione disposta a tutto per difendere la sua libertà, la sua identità e la sua sovranità”.
Una nazione che le riporta alla mente la nascita dell’Italia e il suo risorgimento, il “tempo in cui si diceva che l’Italia fosse solo un’espressione geografica”, ma ha lottato dimostrando “di essere una nazione”. Come l’Ucraina, “che al cospetto del mondo ha già vinto la battaglia per rivendicare la propria identità”.
Ora si punta a vincere la guerra. E l’Italia, su questo, non arretra. Meloni e’ chiarissima, cercando di cancellare con un colpo di bianchetto i tentennamenti dei suoi alleati: dall’affondo al ‘signor Zelensky’ di Silvio Berlusconi alla vigilia del voto -oggi la replica durissima del leader ucraino- allo scivolone di Matteo Salvini sul Festival di Sanremo. “L’Italia darà ogni possibile assistenza perché si creino le condizioni di un negoziato – dice – ma fino ad allora darà ogni genere di supporto militare, finanziario, civile. Chi sostiene anche militarmente l’Ucraina è chi lavora per la pace”.
E quando le domandano se a Kiev è pronta ad inviare anche caccia, mette in chiaro: “Quando c’è un aggredito tutte le armi sono difensive. Al momento non c’è sul tavolo l’invio di aerei, è una decisione da prendere con i partner internazionali”.
La luce abbandona per una manciata di secondi la sala in cui i due leader incontrano la stampa, Giorgia Meloni si improvvisa traduttrice e ‘gira’ la domanda italiana a Zelensky in un inglese fluente, sono un “presidente operaio”, ci ride su. I pc e i telefonini dei cronisti rimangono fuori dalla sala, per ragioni di sicurezza. “Siamo un paese in guerra”, ribatte un funzionario alle rimostranze degli italiani che non si arrendono alle ragioni di una conferenza stampa ‘in differita’.
Perché a Palazzo Mariinskij, al netto delle rigidissime misure di sicurezza, per qualche attimo la guerra appare quasi lontana. Ma basta voltare l’angolo e passare davanti al Parlamento, i sacchi di sabbia ammassati sulle finestre, per ricordare a tutti che la guerra è qui, ad ogni vicolo e sopra le nostre teste.