I lavoratori si sono costituiti nel Comitato “La vergogna della Casa di Riposo”: “Senza stipendio da gennaio, pronti ad andare in massa alla mensa sociale del Comune”
31 dicembre 2022, una data che segna un prima e un dopo: un prima e un dopo per la città di Asti, che perde la sua Casa di Riposo, ma anche per i lavoratori che al Maina, molti di loro, ci hanno lavorato per decenni.
Se si pensa a questa situazione, tornando in quella che fu una volta “Ospizio Cronici e Casa di Riposo Umberto I“, fondato nel 1929, la prima parola che torna alla mente è “abbandono“. Abbandono non solo della struttura, lasciata sospesa in quel tempo indefinito, nel bel mezzo delle festività natalizie, con alberi e addobbi ancora nelle sale, ma abbandono soprattutto per il personale, che da quel giorno si è ritrovato in mezzo alla strada. Letteralmente.
Per questo motivo, nei giorni scorsi si è costituito ad Asti il comitato spontaneo degli ex lavoratori della struttura, denominato “La vergogna della Casa di Riposo Città di Asti”. Un’altra parola, “vergogna“, usata questa volta dal Vescovo di Asti Marco Prastaro, che insieme ad “abbandono” dipinge bene questo triste affresco a tinte fosche.
Il Comitato è sorto spontaneamente, nato da una chat su Whatsapp tra i lavoratori e le lavoratrici del Maina. Ne fanno parte una ventina dei circa 50 lavoratori sospesi nel limbo occupazionale che si è aperto dopo il 31 dicembre.
Oggi abbiamo incontrato il suo portavoce Danilo Moiso, ex cuoco della struttura, insieme ad alcuni sui componenti Fabrizio Trocello e Fiorella Cillo, anche loro operatori della cucina, e le OSS Barbara Fogliati, Monica Pisanu, Poalina Tona, Aida Diop, Florika Vanta, Maria Elisa Filotto e Paola Robba. Con loro siamo tornati alla Casa di Riposo, ripercorrendo la triste storia che ci ha accompagnato fino ad oggi.
“Abbiamo costituito il Comitato perchè non vogliamo che le luci si spengano sulla vicenda della Casa di Riposo Città di Asti – spiega il portavoce – dal 31 dicembre ci siamo completamente sentiti abbandonati dalle Istituzioni”.
Il Comitato è in contatto con uno studio legale.- “Non abbiamo ancora perfezionato, comunicheremo a breve” spiegano – perchè li assista in una eventuale causa di lavoro. “Ci sentiamo danneggiati da tutta questa vicenda. Ci faremo le nostre ragioni in tribunale.
Inoltre sul tavolo ci sono altre due richieste: “Chiediamo un incontro con il Prefetto e vogliamo che un nostro rappresentante partecipi ai tavoli di concertazione. Stanno discutendo del nostro futuro”
Ma ripercorriamo la storia: la chiusura della struttura prima di tutto sorprende i lavoratori e le lavoratrici. “Fino al mese di dicembre, e anche durante il Consiglio Comunale aperto – spiegano – eravamo rassicurati su un esito positivo della vicenda: credevamo che la struttura sì venisse privatizzata, ma che non chiudesse. Una convinzione rafforzata dal fatto che, ancora a metà dicembre, abbiamo tenuto una riunione del personale”.
“La doccia fredda arriva il 20 dicembre -continuano- siamo stati convocati in Prefettura e abbiamo scoperto che la struttura chiudeva. Nessuno ci aveva avvertito. Lo abbiamo scoperto dai giornali, su Internet. Così come nessuno, nei giorni successivi, ci aveva avvertito del trasferimento degli ospiti della struttura: arrivavano le ambulanze e portavano via gli ospiti, noi non sapevamo dove andavano. E’ stata una scena surreale”.
Pochi giorni dopo Natale, come tutti sappiamo, il triste epilogo. Le porte del Maina si sono chiuse dietro i lavoratori. Anche in questo caso, solo assordante silenzio. “Dal 31 dicembre nessuno si è più fatto vivo con noi. Solo una richiesta di consegnare camice e badge. La struttura era chiusa, se qualcuno fosse entrato all’interno avremmo potuto essere ritenuti responsabili”.
La situazione dei lavoratori ora è questa: “Siamo in mobilità, in teoria dovremmo percepire l’80% dello stipendio ma l’ultima mensilità che ci è stata riconosciuta è quella di dicembre. Siamo in attesa di sapere qual è il nostro destino. Dopo due mesi senza entrate, per molti la situazione incomincia a farsi difficile. Molti di noi sono famiglie monoreddito, quella della Casa di Riposo era l’unica entrata: c’è la spesa da fare e le bollette da pagare”.
La trattativa ora è al tavolo della concertazione: tavolo al quale, ora, i lavoratori vogliono partecipare: “Siamo stufi di aspettare fuori al freddo, mentre altri sono sopra a discutere delle nostre vite. Vogliamo che un membro del comitato, in qualità di rappresentante dei lavoratori, sieda al tavolo. E’ una richiesta che chiediamo ufficialmente al Prefetto”.
Tra le richieste, quella che si sblocchi l’impasse per permettere il pagamento degli arretrati. “La banca può anticipare gli stipendi – spiegano – ma serve una garanzia da parte della Regione. Che non è ancora arrivata”.
Il senso di abbandono si respira via via che le voci dei lavoratori si affollano nel racconto convulso di queste ultime settimane. “Non abbiamo avuto risposte da nessuno. I nostri due esponenti politici a Roma, Coppo e Giaccone, non hanno battuto un colpo sulla vicenda. Nessuna risposta è arrivata dagli assessori regionali Marrone e Icardi. Siamo soli”.
Quello che chiedono ora i lavoratori è semplicemente di tornare a lavorare e di avere ciò che gli spetta: “Non siamo noi la causa della chiusura del Maina. Anzi, abbiamo onorato il nostro lavoro fino all’ultimo giorno. Chiediamo di essere ricollocati in maniera giusta e seria, non con proposte che ci vedono ai confini della Svizzera oppure in altri luoghi che non sono serviti dai mezzi pubblici e non possiamo raggiungere”.
Sulle loro teste, incombe anche la spada di Damocle di un licenziamento: “Abbiamo paura che il commissario liquidatore, dal momento che non riesca a far fronte al pagamento dei contributi, ci licenzi tutti: per molti di noi mancano pochi anni alla pensione. Sarebbe un dramma”.
Il Comitato, in ogni caso, è pronto a far sentire la sua voce anche nelle prossime settimane: “Abbiamo scritto a tutti i format giornalistici a livello nazionale: non vogliamo che cali il silenzio sulla nostra situazione, anche perchè pensiamo di essere un unicum a livello nazionale. Siamo gli unici lavoratori pubblici che rischiano di essere licenziati. Se ci riescono con noi, aprono una strada per il futuro”.
Tra le azioni, anche una iscrizione in massa dei lavoratori alla mensa sociale di Asti: “Non vogliamo sussistenza, ma solo il nostro lavoro. Ma se non riusciamo più ad arrivare alla fine del mese, chiederemo che il Comune provveda a noi, dal momento che ci ha privato di ogni fonte di sostentamento”.