4 minuti (tempo di lettura)
Uscito in Italia il 19 gennaio, Babylon di Damien Chazelle – tra gli ultimi successi il musical La La Land – esplora dinamiche e contraddizioni agli albori del cinema americano. Con le sue criticità e uno sguardo visionario, il regista ci accompagna attraverso la vita travagliata di tre unici personaggi legati da un destino comune.
Un cast che vi saprà prendere
Non sono pochi i grandi nomi di questa pellicola. Brad Pitt, nel ruolo di uno dei protagonisti, porta in scena un macchiettistico attore di successo amante delle donne, ispirato a John Gilbert. Margot Robbie interpreta invece una scandalosa attrice in scalata verso il successo,modellata sulla figura di Clara Bow. Un volto non noto è quello del terzo protagonista, interpretato da Diego Calva, ispanico in cerca di fortuna nel mondo del cinema.
Diego Calva
Crediti: IMDb
Altro grande nome è quello di Tobey Maguire nel ruolo del gangster James McKay. Figurano poi anche Jovan Adepo e il suo trombettista James Palmer, grande omaggio a quei musicisti afroamericani del tempo, anch’essi punte del cinema, come Louis Armstrong. Infine, l’attrice Li Jun Li e la sua Lady Fay Zhu, ispirata ad Anna May Wong, una delle prime star di origine asiatica nel panorama americano.
Una Babilonia degli anni Venti
La pellicola si incentra sulla vita di tre archetipi di quella Hollywood degli inizi: Jack Conrad, attore all’apice della sua carriera; Nellie LaRoy, self-made woman che riesce a ottenere un ruolo in un film; Manuel Torres, desideroso di lavorare nel mondo del cinema e che grazie al caso riuscirà a diventare assistente di Jack Conrad. Le loro storie si incroceranno e poi si allontaneranno, superando successi e insuccessi, in un periodo tanto delicato della storia cinematografica: il passaggio dal muto al sonoro.
In una moderna Babilonia fondata su droga, alcol, sesso, lusso e corruzione, i nostri protagonisti dovranno farsi strada in una realtà ancora alle origini, ma già in cambiamento. Una Babilonia destinata a bruciare, ma anche a risorgere dalle sue stesse ceneri.
I presupposti della trama ricordano – ed è intenzionale, vi sono dei riferimenti espliciti – un grande classico del cinema degli anni Cinquanta: Singin’ in the Rain.
Locandina di Singin’ in the rain Crediti: Wikipedia
Damien Chazelle ci racconta una fiaba ricca d’amore, marciume e grottesca ironia
Uno dei più grandi pregi di questo film è la sua capacità di sapere trascinare lo spettatore attraverso una narrazione serrata, priva di punti morti, grazie a diversi strumenti usati ad arte.
Il montaggio, come i movimenti di macchina, è dinamico e frenetico. Non si ha il tempo di ragionare su quanto sta accadendo perché l’eccesso è la cifra stilistica di questa opera. Sfrenato come non mai, Damien Chazelle riesce in ogni caso a non far perdere i fili del racconto e ricongiungere ogni punto.
In una delle sequenze meglio costruite di Babylon, in parallelo assistiamo alla giornata di riprese che rivoluzionerà le carriere dei nostri protagonisti: musica e regia si fondono in un singolo motivo, il cui unico obiettivo è di immortalare il pioneristico approccio di quel neonato cinema tra musica in presa diretta, luce naturale e un set che si trasforma in un vero e proprio campo di battaglia.
La follia poi regna sovrana. Il film presenta ancora una volta, in scene talvolta al limite con l’orrido, questa tendenza all’eccesso e allo scabroso, senza limitarsi nel mostrare anche il più disgustoso dei particolari. Soprattutto verso la fine, si rimane terrorizzati dagli eventi in scena che sembrano catapultarci in un grottesco film dell’orrore. Il tutto tenderà verso la commedia ma il dramma è sempre dietro l’angolo. Anche nel momento più comico, il regista ci tiene a rendere conto delle effettive dinamiche di sfruttamento e terrore che imperavano nei set cinematografici del tempo.
Altro punto di forza di Babylon sono le musiche: tranne qualche eccezione, il motivo è sempre il medesimo ma costantemente riarrangiato. Dove prima c’era una tromba, ora si trova un sax; dove prima insisteva un basso, ora si sostituisce una percussione. È questo il merito di Justin Hurwitz, già da tempo collaboratore del regista in altre grandi opere come Whiplash e La La Land.
Non mancano le criticità
Malgrado la sua estrema originalità, il film manca di focus. Non è facile comprendere il reale intento della pellicola: soprattutto dopo l’ultima sequenza prima dell’epilogo – un grande elogio al cinema di tutti i tempi, una psichedelica successione di luci, colori e frame di grandi classici –, appare poco chiaro se l’intenzione di Chazelle sia quella di critica o tributo alla settima arte. Una contraddizione che è possibile rilevare in momenti alterni e che confondono lo spettatore.
Come suggerisce la critica Eileen Jones, che scrive per la rivista Jacobin, «Alla fine diventa più chiaro che in realtà Chazelle sta cercando di pagare un tributo alla grandezza del cinema, anche se, dal suo punto di vista, il cinema sta crescendo come un fiore appariscente sopra un enorme letamaio».
Difetto centrale è anche l’impossibilità di immedesimarsi nelle situazioni ed emozioni dei protagonisti: ne conosciamo gli obiettivi, le difficoltà ma, come già detto, la pellicola manca di focus e chi osserva non è realmente interessato al destino di ciascuno. Lo spettatore attende la fine della vicenda ma gli eventi dei personaggi hanno già smesso di coinvolgerlo.
Ultimo lato negativo, ma che dipende anche dalla percezione del singolo, è la durata. La tre ore di girato, non per l’inutilità o eccedenza di ciò che accade, pesano verso la fine.
Tiriamo le somme: vale la pena vedere Babylon?
Nonostante la critica si sia abbastanza divisa, Babylon di Damien Chazelle è un’esperienza da non perdersi. Correte dunque a recuperarlo: fatevi trasportare da un mondo esplicito e colorato, in grado di stimolare la riflessione e i sensi.
Riccardo Bajardi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Valuta l’articolo!
Totale: 0 Media: 0